Pittore ...
C'è un modo per esser moderni, anzi per essere vivi: capire la storia. Donnino Rumi ha messo in pratica quest'apertura alla storia che è - va detto subito - il risultato più clamoroso della cultura d'oggi.
Finita (che dico? ormai dimenticata) la lunga coda delle avanguardie storiche, protese pateticamente verso il rinnovamento ad ogni costo del linguaggio, è oggi il tempo della rimeditazione del passato. Meglio: è il tempo in cui ciascuno, artista o non artista, può scegliersi il "suo" passato, immedesimandosi cioè in un determinato periodo della storia, in una particolare accezione stilistica, in una modalità di pensiero.
Non si tratta - come molti credono - di revivals, di riesumazioni, di ammuffite nostalgie:
si tratta di prolungare la nostra stessa esistenza al di là del contingente determinismo del tempo (la schiavitù della moda). E si tratta soprattutto di essere liberi.
Donnino Rumi ha scelto - in un certo senso - di essere libero all'interno della "storia" che egli stesso, lucidamente, ha scelto. Ciò mi appare subito senza equivoci. Basta scorrere, come in un film, le opere di questo pittore dalla vicenda tutta particolare: opere che sono in contraddizione con i dettami del loro tempo, protese ad un altro "tempo" non più storico ma categoriale.
L'impressione non può che essere di un uomo che ha tenacemente cercato di estrarre, dal repertorio delle forme storiche, tutto ciò che gli poteva servire: come ha fatto Picasso, come hanno fatto tanti artisti liberi (liberi in un'epoca, come quella del
dopoguerra, pesantemente condizionata dalle mode) che hanno scelto di porsi in feconda dialettica con il gusto dominante.
A ciò Rumi è stato portato anche dal lungo periodo di <<incubazione>> (circa dal 1925 fino agli Cinquanta) cui è stata costretta la sua opera per ragioni di lavoro. Una cesura che oggi, in una prospettiva ben diversa, potremmo anche dire opportuna: se è vero che ha permesso una ripresa, soprattutto dal 1957-59, così scattante, lucida, splendidamente consapevole. ....